domenica 11 maggio 2014

BOBO CRAXI (PSI): "NON E' LA 'MILANO DA BERE' DEGLI ANNI DI TANGENTOPOLI, MA MOLTO PEGGIO"

“Si evoca con tono compiaciuto l’inchiesta di vent’anni fa, quando invece quel che è accaduto dopo appare assai più vasto e diffuso, entro un quadro di incertezza e di instabilità politica congiunta a una situazione di crisi economica e sociale assai peggiore”.
E’ quanto afferma Bobo Craxi, del Partito socialista italiano, in un’intervista in attesa di pubblicazione in queste ore sul sito web www.periodicoitalianomagazine.it, diretto da Vittorio Lussana, in merito alla nuova ondata di inchieste relative all’Esposizione universale di Milano 2015.
“Si stanno tutti affannando a spiegare che “non è come Tangentopoli”, dichiara Craxi nell’intervista, “e infatti, se ci si pensa bene, è molto peggio, poiché questa classe dirigente si è riempita la bocca col ‘nuovo che avanza’ e poi ha dimostrato, invece, di essere ‘più vecchia del vecchio’: vedo molte ‘code di paglia’ da tagliare. Certamente”, prosegue l’ex sottosegretario agli Esteri con delega alla campagna promozionale per l’Expo di Milano, “mi spiace di aver percorso migliaia di chilometri affinché qualcuno tornasse a operare in modo disonesto. Il rischio di infiltrazioni e di ‘malagestione’ erano stati preventivati, ma non immaginavo la fragilità degli organi di supervisione e controllo: c’è stata una palese ‘negligentia in vigilando’. Al tempo della campagna promozionale”, ricorda inoltre Craxi, “fatto salvo l’impegno del Governo e del sindaco Moratti, eravamo circondati da una coltre di scetticismo e di pessimismo circa l’esito della nostra battaglia. Poi, all'improvviso, sono saliti sul ‘carro del vincitore’ proprio coloro che ci avevano criticati e boicottato e che, oggi, vedo indicati come approfittatori. La vita”, conclude, “effettivamente, è una ruota che gira…”.

Roma, 11 maggio 2014

sabato 30 marzo 2013

Sulla strage di Oslo l'ombra del delitto politico


 

 
di Vittorio Lussana

(recensione tratta dal sito www.periodicoitalianomagazine.it)

È questa la tesi ipotizzata, nel suo libro-inchiesta, dal giornalista Luca Mariani, mettendo in evidenza come la maggior parte delle vittime stessero partecipando a un meeting laburista. Lo stragista Breivik è stato dichiarato sano di mente, ma quali furono i suoi contatti? Come si procurò armi ed esplosivo?

Di quel 22 luglio 2011 e della strage di Oslo rimangono i numerosi video diffusi in rete e l'eco raccapricciante delle richieste di aiuto di giovani terrorizzati, che cercavano di nascondersi dalla furia omicida di Anders Behring Breivik. Nei giorni successivi alla strage sono stati diffusi stralci del manifesto-testamento dell'omicida, diffuso su internet due ore prima della strage. Ma nel proclama che dovrebbe spiegare al mondo il suo gesto sembra esserci ben più del gesto di un folle. Anche perché, proprio secondo i giudici, Anders Behring Breivik è sano di mente. Ed è proprio rileggendo minuziosamente tutte le dichiarazioni e i fatti che Luca Mariani, giornalista parlamentare dell'Agi, delinea un'ipotesi diversa nel suo libro-inchiesta: 'Il silenzio sugli innocenti' edito da Ediesse. Perché l'isola di Utøya era da decenni sede di campeggi estivi dei socialisti di tutto il mondo. E in pochi hanno pronunciato le parole 'socialista' o 'laburista', né al dibattito alla Camera sulle stragi in Norvegia, né sulle prime pagine dei principali quotidiani italiani (eccetto 'Avvenire'). Eppure, nel suo Compendium, Breivik elenca i potenziali Partiti amici in Italia, tra cui An, Lega, Fn, Ms-Ft, La Destra. E cita in negativo gli europeisti/multiculturalisti, tra cui Napolitano, Amato, Frattini, Prodi, facendo un riferimento diretto a Roberto Fiore, leader di Forza Nuova (che, però, in un'intervista nega ogni rapporto). Un'azione studiata per anni, nei minimi dettagli. L'obiettivo? Distruggere il Partito laburista alla radice. Le motivazioni? L'odio contro gli immigrati e contro la politica multiculturalista. Gli effetti? Nei media prima si avvalora a gran voce la pista islamica. Poi, quando emergono i fatti, gradualmente cala il silenzio sui giovani laburisti giustiziati per le loro idee. Tante sono le domande che, a oggi, non hanno trovato risposta: c'è in Europa una rete di estrema destra nazionalista, violenta e xenofoba? Come agisce? Chi la sostiene? Chi la finanzia? E gli uomini arrestati in Polonia e in Gran Bretagna ebbero contatti con il killer? E ancora: Breivik con chi era in contatto? Come si procurò armi ed esplosivo? Il libro sulle stragi di Oslo e Utøya vuole essere un piccolo contributo alla verità, in contrasto con il modo superficiale e lacunoso con cui i media hanno affrontato il tema.

Il silenzio sugli innocenti
Ediesse, pag. 208, Euro 13,00

L'autore
Luca Mariani: giornalista parlamentare, comincia il suo cammino professionale con una piccola radio privata genovese. Si occupa, in seguito, come corrispondente da Roma de Il Secolo XIX, delle vicende del porto di Genova e dei 'camalli'. Dal 1989 lavora per l'AGI, una delle principali agenzie di stampa italiane. Segue l’attività nazionale e internazionale del Governo e i lavori del Copasir. Il 27 luglio 1993, nella notte delle bombe, è il primo ad arrivare a Palazzo Chigi, accorgendosi che i telefoni della presidenza sono saltati. Ciampi è ancora a Santa Severa. Nel 1998 è al Consiglio europeo che diede il via libera all'ingresso dell'Italia nell'Euro. Prima della nomina di Mario Draghi a Governatore della Banca d'Italia, nel dicembre 2005 pubblica in esclusiva la notizia dell'incontro riservato tra questi e Gianni Letta.

IL FATTO
Gli attentati del 2011 in Norvegia sono stati due attacchi terroristici coordinati, attuati contro il Governo, contro un campo politico estivo e contro la popolazione civile della Norvegia il 22 luglio 2011. Il primo attacco è stato realizzato con l'esplosione di una bomba al Regjeringskvartalet, il quartier generale dell'esecutivo a Oslo, alle 15.26, al di fuori dell'ufficio del primo ministro, Jens Stoltenberg e di altri edifici governativi. L'esplosione ha ucciso otto persone e ne ha ferite molte altre. Il secondo attentato, il più grave, si è svolto circa due ore più tardi presso un campo di giovani organizzato dalla Lega dei Giovani Lavoratori (Arbeidernes Ungdomsfylking, AUF), organizzazione giovanile del Partito laburista norvegese sull'isola di Utøya, a Tyrifjorden, Buskerud. Dopo aver fatto esplodere l'autobomba nei pressi degli uffici governativi, il killer Anders Breivik si è avviato verso Utøya, vestito da agente della polizia norvegese fingendo di cercare bombe. Arrivato sull'isola con un traghetto, Breivik ha prima ucciso con una Block (pistola) i direttori del campo, che sospettosi dalle armi avevano iniziato a fargli domande, quindi si è diretto verso i giovani raccolti in un punto di ristoro, ha estratto il fucile automatico e ha incominciato a sparare sulla folla, arrivando a uccidere 69 giovani tra i 14 e i 20 anni. Dopo un'ora e mezza, la Delta (Unità norvegese antiterrorismo), un'èlite della polizia, ha fatto irruzione sull'isola e l'attentatore si è consegnato senza opporre resistenza. Breivik, secondo alcune prime testimonianze in stato di shock, non avrebbe agito da solo, ma le ricerche e le indagini della polizia norvegese su possibili complici non hanno individuato altre persone. Infatti, le testimonianze più attendibili e "a mente fredda" dei sopravvissuti della strage di Utøya hanno descritto il solo Breivik che sparava con freddezza, senza correre e senza urlare (versione dei sopravvissuti tratta dal documentario: 'Massacro in Norvegia, io c'ero'). Christian Hatlo, responsabile delle indagini, ha infine stabilito che Breivik ha agito da solo. Anders Breivik ha confessato dopo l'arresto di essere il responsabile degli attentati. Anders Breivik è un anti-multiculturalista, anti-marxista, anti-islamico e fondamentalista cristiano, con ideologie di estrema destra, come da lui stesso affermato nel suo memoriale '2083', una dichiarazione europea d'indipendenza divulgato su internet (indirizzato a tutti gli estremisti di destra in tutto il mondo) un'ora e mezza prima dell'esplosione a Oslo. Breivik è stato condannato a 21 anni di carcere (la condanna massima in Norvegia) ed è stato dichiarato dai giudici sano di mente.

domenica 26 agosto 2012

Scintilla Craxi aggredita ad Hammamet insieme a un'amica



Si moltiplicano nella Tunisia post rivoluzionaria gli episodi di violenza e aggressione, per motivi politici o per furti e rapine. L’ultimo, in ordine di tempo, è avvenuto sabato scorso, in pieno giorno, ad Hammamet e ha visto coinvolta Scintilla Craxi, moglie di Bobo e nuora dell’ex presidente del Consiglio dei ministri, Bettino Craxi. Sono state aggredite lei e un’amica tunisina a un incrocio stradale da giovani in motocicletta, che con un corpo contundente hanno sfondato il finestrino della vettura sulla quale viaggiavano e, con violenza, hanno cercato di strappare la collanina della giovane tunisina. E’ sorta una colluttazione e i malviventi sono stati messi in fuga dalle urla delle due donne. Dopo la denuncia, effettuata al locale posto di polizia, pare che i malviventi siano stati individuati.
L’aggressione in cui è rimasta coinvolta Scintilla Craxi fa seguito a un altro recente episodio violento avvenuto sempre nella stazione balneare di Hammamet, in cui un italiano è stato vittima di un efferato delitto nella propria abitazione. 

Roma, 26 agosto 2012

domenica 12 agosto 2012

Craxi (Psi): “Fioroni critica il ‘craxismo’ di Casini per poi proporre il centrismo cattolico degli anni ‘50”


“Anche Fioroni, democristiano di lungo corso, per polemizzare con Casini cade nella ‘trappola’ della demonizzazione di Craxi, in questo caso della sua politica, quella del Psi e della strategia elettorale che escludeva pronunciamenti (nel ‘92 non fu così e sappiamo com’è finita)”.
Lo afferma in una nota Bobo Craxi, del Partito socialista italiano, commentando le affermazioni rilasciate al ‘ Corriere della Sera’ dall’esponente del Pd ed ex ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, che suggerisce a Casini “un’alleanza della responsabilità e della speranza” da realizzarsi prima del voto, rinunciando alla strategia ‘craxiana’ cosiddetta delle ‘mani libere’.
“Essa significherebbe”, aggiunge Craxi, “che Casini riporta indietro le ‘lancette dell’orologio’, mentre Fioroni, che invoca De Gasperi e che intende riunire masse ed élites cattoliche in un unico progetto di centro riformista capace di promuovere un disperato ‘polo della speranza’, sarebbe invece un grande innovatore, un moderno salvatore degli italiani: una grande fantasia, non c’è che dire”, conclude Bobo Craxi.

Roma, 12 agosto 2012

martedì 18 ottobre 2011

Le cause della violenza

 



di Vittorio Lussana

(editoriale tratto dal sito www.laici.it)

Nel merito dell’ennesimo episodio di guerriglia urbana, scatenatasi a Roma durante la manifestazione degli ‘indignati’ del 15 ottobre ultimo scorso, non posso che replicare le mie riflessioni di sempre: ben pochi sono i riscontri di carattere sociologico ai quali far riferimento al fine di inquadrare un certo estremismo anarco-insurrezionalista come la forte volontà di alcune ‘avanguardie’ di battersi contro le ingiustizie del sistema capitalistico globalizzato. Questo è solamente uno squallido ‘alibi’ di matrice giustificatoria, dettato dal bisogno di creare attorno a questi gruppi una sorta di ‘alone culturale’ che, in realtà, non ha mai retto il confronto non solo con ogni minima forma di credibilità politica, ma nemmeno con le più semplici logiche dell’antropologia comportamentale. L’estrazione sociale dei componenti di questi gruppuscoli, infatti, è quasi sempre il ceto borghese o quello degli ambienti studenteschi caratterizzati da una forte impronta ‘cattocomunista’. Dunque, non si tratta affatto di operai o di giovani lavoratori in rivolta contro lo Stato, secondo la nota formula ’gramsciana’ della rivoluzione, bensì di miserabili avventurieri che coltivano il sentimento della vendetta, della violenza e della sopraffazione come esclusivo strumento di lotta. Altrettanto poco persuasive sono sempre state tutte quelle letture di matrice ideologica che hanno spesso cercato di ‘disegnare’ questi sovversivi come dei giovani delusi, i quali non riescono a intravedere metodi diversi dalla guerriglia urbana, in una società in cui il ricambio politico e l’alternanza democratica appaiono obiettivi assai poco ‘digeriti’ dal nostro ‘sistema–Paese’. Ma se così fosse, non sorprenderebbe il fatto che formazioni politiche bene organizzate e assai ramificate all’interno del mondo del lavoro – i Partiti della sinistra storica e i sindacati – non sempre riescano a cogliere i diversi cicli di riapparizione del fenomeno, al fine di neutralizzarne la sotterranea ‘continuità di reclutamento’. L’unica reale spiegazione di tali assurde ‘suggestioni’ rimane, perciò, quella antropologica: alcune persone smarriscono la memoria verso ogni coordinata culturale di riferimento (intransigentismo radicale, esigenze di una trasformazione dei rapporti sociali e familiari, necessità di nuove forme di educazione civile) nella convinzione che il disordine e la violenza siano l’unica risposta possibile per il cambiamento di questo Paese, rinunciando aprioristicamente a ‘produrre discorso’, limitandosi all’individuazione di alcuni generici nemici (il sistema bancario, le istituzioni rappresentative e persino le simbologie religiose), assoggettando ogni norma di comportamento senza ‘ancorare’ minimamente le proprie scelte e le proprie idee a una qualsiasi giustificazione idealmente nobile. Il fenomeno è perciò ‘fotografabile’ solo attraverso la formula della ‘degenerazione bellicista’: nell’universo militare non ci si pongono problemi di ‘qualità morale’ delle proprie azioni, poiché non esistono orrori o crudeltà, ma solamente questioni di ‘congruenza’ tra mezzi e fini, un’etica ‘dimostrativa’ tutta legata a un’ossessiva ricerca di visibilità ‘mediatica’, che diviene preponderante rispetto a ogni ‘etica della convinzione’. Alla base di tutto ciò vi è sempre stato un ‘brodo culturale’ totalmente imperniato su un acuto senso di irresponsabilità, sull’idea che si possa predicare senza agire o agire senza dichiarare le proprie intenzioni, che non si paghi mai per nulla, che non si debba render conto a nessuno del proprio operato. E si è sempre delineata un’abitudine alla violenza nel suo doppio aspetto di affermazione di potere e di riconquista di un’appartenenza comunitaria (fare qualcosa di supremamente proibito significa, per questo genere di individui, imboccare una ‘scorciatoia’ che permette loro di allacciare legami che, altrimenti, non saprebbero come stringere in altro modo…). Inoltre, deve essere assolutamente sottolineata la perversa persuasione che quel che conferisce ‘forza’ sia l’elevatezza del ‘livello di scontro’, un’overdose di antagonismo che l’anarchico-rivoluzionario deve forzatamente inoculare nei propri atteggiamenti, poiché quanto più si è ‘duri’, tanto più è elevata la possibilità di vincere. Infine, vi sono ulteriori elementi di non secondaria importanza: una mentalità ‘immediatista’, il rifiuto di ogni etica del lavoro, un linguaggio tutto giocato sul ‘massacro’ della sintassi, sulla ripetizione ossessiva degli slogan, una fragilità psicologica in cui grave si avverte la profonda debolezza verso ogni senso di identità, insieme a una patetica assenza di ‘anticorpi’ contro la paura della morte. In tutto questo, ogni richiamo al marxismo-leninismo ‘duro’ e ‘puro’, al materialismo dialettico, al pensiero operaio, alla lotta di classe, alla dittatura del proletariato o alla stessa cultura anarchica di ‘bakuniana memoria’ risulta totalmente astratto e ideologico: conta assai più l’assorbimento di precise tendenze degenerative della società contemporanea, l’introiezione di ‘figure di crisi’ rispetto alle quali i comportamenti ‘deviati’ si collocano in un rapporto di ‘specularità’. Come non riflettere, a proposito di questo genere di irresponsabilità, alla ritirata storica della borghesia italiana, al suo vile ‘ripiegamento’ nel privato, alla propria indifferenza verso i problemi concernenti la cosa pubblica? Come non cogliere, a proposito degli stereotipi militareschi cui ho fatto cenno, i nessi esistenti tra il bisogno di una vita ‘elementare’ ed eterodiretta con i vari espedienti messi in atto per ridurre ogni complessità sociale mediante tecniche di controllo e di ‘disinformazione’ dalla precisa discendenza autoritaria? Come non chiamare in causa, al di là di quanto si creda o si pensi, il modello liberistico ‘mandevilliano’ teorizzato da Milton Friedman? Come mai nessuno riesce a fare ‘mente locale’, in proposito di ‘autovalorizzazione’ e di rifiuto di ogni principio ‘laburistico’, a quei rivoli di assistenzialismo e di reddito garantito che sono sempre ‘sgorgati’ dal nostro contraddittorio sistema di welfare, che spesso aiuta chi in realtà non ne ha bisogno e abbandona al proprio destino il precariato giovanile, nella più totale assenza di ogni meccanismo di ricambio generazionale in tutti i campi e in tutti i settori del mondo del lavoro e delle professioni? Come non riandare con la mente, in tema di arroganza corporativa, a quei fenomeni di asocialità ricattatoria che dipendono dall’enorme potere posseduto da alcune categorie ‘ristrette’, in un Paese in cui basta uno sciopero delle ferrovie per mettere in ginocchio l’intera cittadinanza? Infine, come non mettere a bilancio, a proposito di afasia e di ‘sterilità valoriale’, il generale impoverimento qualitativo del nostro sistema didattico nazionale? Diciamocelo chiaramente: sono queste le vere cause generatrici di intere schiere di ‘giovani senza passato’, i quali continuano a non sentirsi parte di una Storia troppo diversa dalla loro e che si ostinano a collegarsi ad alcune tradizioni grazie a un lessico da rivoltosi o a grammatiche iperideologizzate. Si tratta di persone che non riescono a elaborare un dignitoso ‘sistema di segni’, le cui uniche forme di elaborazione spontanea discendono da ‘zattere ideologiche di salvataggio’ tanto assolute, quanto incerte. Ecco, dunque, il vero motivo dell’opzione anarco-insurrezionalista: l’idea di una rivoluzione, per questi gruppi di rivoltosi è sempre e assolutamente un concetto ‘fotografico’, meramente ‘statico’. Non si tratta di un qualcosa ‘in divenire’, basato su una serie di trasformazioni graduali da incardinare attorno a un disegno concreto di società ‘rinnovata’, bensì dell’organizzazione di un’autonomia di classe da proteggere con la violenza. Se si vuole veramente capire fino in fondo questo genere di fenomeni, si deve perciò cominciare a cogliere, definitivamente, la dimensione ‘nichilista’ e autodistruttiva degli individui che decidono di aderire alle culture della violenza protestataria e ‘antisistema’ in quanto metodo di lotta, un fattore che pesa in misura assai notevole tra le loro motivazioni interiori. Non si tratta di un nichilismo ‘drammatico’, derivante da forme di disperazione civile alla Pier Paolo Pasolini, bensì da una ‘supponenza’ di natura etimologica in cui il ‘nulla’ non deriva dall’ablazione di sé, ma da una totale mancanza di ogni ’senso delle relazioni’ che si intrattengono, delle azioni che si commettono, degli ambienti che si frequentano. Un universo psicologico in cui non solo non esiste nessuna frontiera tra bene e male, ma persino i sentimenti sono banditi, dove capire e osservare la realtà diviene un qualcosa di noioso, di superfluo, di fuorviante. Da tali caratterizzazioni è disceso, in passato, l’ideologismo ‘dimostrativo’ e la spietata ‘strategia omicidiaria’ delle Brigate Rosse. E fino a quando non riusciremo a elaborare delle risposte soddisfacenti intorno a tali questioni, l’ignoranza, l’astrattezza e la vacua prosopopea continueranno a giocare un ruolo a dir poco ’subdolo’ all’interno della nostra società. Dobbiamo avere il coraggio di urlare in faccia a questa gente che essi non sanno un bel niente della reale composizione della società italiana, degli innumerevoli cambiamenti che in essa sono intervenuti, dei desideri, delle speranze, delle abitudini e dei modi di vita che, oggi, la contraddistinguono, anche al fine di far comprendere alle generazioni future che una piazza messa a soqquadro non corrisponde affatto a un’insurrezione imminente, ma solamente a una forma di idiozia che rischia di ‘inchiodare’ ulteriormente l’opinione pubblica dalla parte di una ‘macchina’ burocratico-corporativa indolente, pigra, totalmente inefficiente.

lunedì 11 luglio 2011

INCONTRO AL QUIRINALE PER I 120 ANNI DELLA RIVISTA DEL RIFORMISMO SOCIALISTA

 

Il Comitato promotore delle celebrazioni per i 120 anni della rivista Critica Sociale, fondata da Filippo Turati nel 1891, è stato ricevuto questa mattina al Quirinale dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, per ricevere, nel corso dell’udienza, l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica. L’incontro ha sottolineato al presidente l’attualità della lezione delle idee e dei valori del socialismo riformista nell’affrontare i problemi della società italiana di oggi.
La Critica Sociale, nella continuità delle pubblicazioni e delle sue iniziative editoriali, rappresenta il punto di riferimento politico della tradizione del riformismo. Nel consegnare la raccolta originale della prima annata è stato evidenziato come il socialismo riformista attraverso i suoi Autori - da Filippo Turati, ai due Presidenti della Repubblica, Luigi Einaudi e Giuseppe Saragat, all’ex Presidente del Consiglio, Bettino Craxi - rappresenti una tradizione politica e culturale vitale della storia nazionale.
Nel quadro delle celebrazioni in corso, i presenti all’udienza hanno preannunciato un grande convegno conclusivo che si prevede per il mese di novembre, al quale è stato invitato lo stesso Giorgio Napolitano.
Molto ascoltati e utili i preziosi suggerimenti rivolti dal presidente al comitato promotore affinché il convegno sia un’occasione seria di studi approfonditi sulla storia del riformismo socialista. A tal fine si terranno quattro seminari preparatori del convegno, da tenersi in una sede istituzionale della Camera dei Deputati, sui temi della costruzione della società nazionale – dopo soli trent’anni dall’Unità dello Stato italiano - dal municipalismo, alla cooperazione, alla mutualità, all’economia pubblica, alla conquista dei diritti politici come il suffragio universale e la legge elettorale proporzionale, ai diritti del lavoro.
Nel corso dell’incontro sono stati consegnati nelle mani del presidente Napolitano due doni personali:
- il Primo volume rilegato da Turati con i fascicoli della prima annata, quella del 1891, volume tratto dalla collezione storica lasciata da Giuseppe Faravelli alla Biblioteca della Critica;
- il “Bordereau di redazione”, il Master dell’indice generale degli Autori della Critica (circa 8000 voci per 35 anni di pubblicazioni) con 6 Dvd contenenti tutta la collezione storica consultabile off line.
Quest’ultimo documento sarà donato a tutti i sindaci italiani, affinché questo patrimonio di cultura politica e di Storia sia reso disponibile in tutte le biblioteche civiche e scolastiche.
In particolare, gli 'Amici della Critica sociale' hanno affermato che “la distribuzione di questo documento nei Comuni italiani sarà anche l’occasione per indire manifestazioni celebrative dei 150 anni dell’Unita d’Italia che il riformismo ha contribuito a unire nella nuova società nazionale”.

Roma, 11 luglio 2011